Un tempo tutta la fascia di pianura che si estende dal parco di Monza sino alle propaggini collinari di Usmate era ricoperto da boschi. Un mare verde di alberi senza soluzione di continuità di cui rimangono tracce nel parco dei Colli Briantei, nel Parco del Molgora, nel Parco della Valle del Lambro ed in parte anche in quello della Cavallera. Le foreste di pianura dell'epoca erano formate perloppiù da querce e da carpini, un’associazione forestale nota come querco-carpineto.
Il territorio del Parco della Cavallera è stato modificato profondamente dall'opera dell'uomo nel corso dei secoli.I conti Scotti acquistarono l'antica cascina per farne una casina di caccia, infatti le selve che si estendevano in quella zona assicuravano la presenza abbondante di selvaggina come cervi, caprioli e cinghiali. Oggi di quelle selve rimane ben poco, gli alberi sono stati abbattuti per lasciare posto al terreno agricolo e successivamente la meccanizzazione dell’agricoltura ha fatto il resto, le siepi che delimitavano i campi sono state man mano ridotte quasi del tutto eliminate per ampliare al massimo la superficie coltivabile.
La flora di pregio sopravvive solo lungo i filari che delimitano le strade poderali ed in piccoli, isolati boschetti. In queste zone sopravvivono alberi tipici delle foreste di pianura, oltre alle onnipresenti Robinie (Robinia pseudoacacia), troviamo la quercia farnia (Quercus robur), il Carpino bianco(Carpinus betulus), l’Acero campestre (Acer campestre), l’Olmo (Ulmus minor), il nocciolo(Corylus avellana).
Di particolare rilievo la presenza di filari di Gelsi (Morus alba), testimonianza di una economia tradizionale fondata sulla coltivazione di questi alberi per l’allevamento dei bachi da seta, un'economia ormai perduta.
Più diffusi invece gli arbusti spontanei come il Biancospino (Crataegos monogyna), il Sanguinello (Cornus sanguinea), il Sambuco (Sambucus nigra).
Una delle azioni che il parco dovrà necessariamente intraprendere sarà quella del recupero degli antichi filari e delle siepi, elementi di discontinuità del paesaggio e veri propri scrigni di vita naturale.
Il territorio del Parco della Cavallera è stato modificato profondamente dall'opera dell'uomo nel corso dei secoli.I conti Scotti acquistarono l'antica cascina per farne una casina di caccia, infatti le selve che si estendevano in quella zona assicuravano la presenza abbondante di selvaggina come cervi, caprioli e cinghiali. Oggi di quelle selve rimane ben poco, gli alberi sono stati abbattuti per lasciare posto al terreno agricolo e successivamente la meccanizzazione dell’agricoltura ha fatto il resto, le siepi che delimitavano i campi sono state man mano ridotte quasi del tutto eliminate per ampliare al massimo la superficie coltivabile.
La flora di pregio sopravvive solo lungo i filari che delimitano le strade poderali ed in piccoli, isolati boschetti. In queste zone sopravvivono alberi tipici delle foreste di pianura, oltre alle onnipresenti Robinie (Robinia pseudoacacia), troviamo la quercia farnia (Quercus robur), il Carpino bianco(Carpinus betulus), l’Acero campestre (Acer campestre), l’Olmo (Ulmus minor), il nocciolo(Corylus avellana).
Di particolare rilievo la presenza di filari di Gelsi (Morus alba), testimonianza di una economia tradizionale fondata sulla coltivazione di questi alberi per l’allevamento dei bachi da seta, un'economia ormai perduta.
Più diffusi invece gli arbusti spontanei come il Biancospino (Crataegos monogyna), il Sanguinello (Cornus sanguinea), il Sambuco (Sambucus nigra).
Una delle azioni che il parco dovrà necessariamente intraprendere sarà quella del recupero degli antichi filari e delle siepi, elementi di discontinuità del paesaggio e veri propri scrigni di vita naturale.